Il leone triste di Sammezzano

by savesammezzano
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Il leone triste di Sammezzano. La novella di Mario Rigli

120 anni fa (il 18 ottobre 1897) si spense il visionario creatore del Castello di Sammezzano, il Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona e ieri si è svolta la cerimonia di inaugurazione del Sepolcreto Panciatichi Ximenes di Aragona al Cimitero di Sociana, località a due passi da Sammezzano, restaurato con i fondi raccolti dal Comitato FPXA.
Ma inizialmente le spoglie del Marchese vennero custodite in una cripta sotto al castello. Due magnifici leoni, dall’espressione triste, furono posti a guardia della cripta, sulla balaustra che sovrasta la scala di accesso.
Nel corso degli ultimi anni il castello è stato abbandonato e depredato di tutto. Anche dei leoni.
Il primo fu rubato nel 2005 e l’altro nel 2016. 

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La leggenda narra di una maledizione ad opera della fattucchiera chiamata al capezzale del Marchese malato: chiunque avesse rubato i due leoni, disturbando il sonno eterno del marchese, sarebbe stato colpito dalla stessa malattia del marchese.  Potete approfondire l’argomento sulla pagina Miti e Misteri.

Nel 2015, il poeta e scrittore Mario Rigli ha dedicato una bellissima e struggente novella al primo leone rubato. Vogliamo condividerla con tutti voi.

“C’ero una volta e una volta non c’ero. Ora per esempio non so bene se ci sono o non ci sono. Sono al buio, sento umidità nelle ossa e un grande odore di muffa. Credo di essere in una cantina profonda, sento lontano il rumore di veicoli che scorrono veloci in una strada. Non ci sono. I miei occhi di pietra sono abituati ai caleidoscopi di colori della “sala dei pavoni” o del “corridoio delle stalattiti” , del “salone delle colonne” non al buio perenne di una cantina umida che odora di muffa.

Sono un leone di pietra, di pietra serena. Ma non di quelli fieri e rampanti, di quelli che hanno la bocca aperta in un ruggito perenne. La mia criniera è un po’ spelacchiata e il mio sguardo non è fiero, ma dimesso.

Mi chiamano il “leone triste” ed hanno ragione ho molti motivi per la mia tristezza. Ma ho anche delle doti nascoste. Chi mi ha fatto del male non lo ha fatto indenne, ma ne ha subite le tremende conseguenze. Io ho un fratello gemello. Nostro padre ci costruì nella pietra serena, probabilmente estratta dal Pratomagno, ma nostro padre un umile artigiano e scalpellino sconosciuto ci dette anche la vita e ci affidò un compito.

Lui da destra ed io da sinistra stavamo a guardia delle ceneri di un grande uomo. Un uomo sognatore e visionario, un uomo che aveva portato nelle colline del Valdarno i colori ed i suoni dell’oriente, un uomo che aveva saputo mischiare ad un paesaggio toscano il sentire di un oriente misterioso e lontano, ma vicinissimo dopo che il suo sogno si era materializzato. La malattia di questo sognatore fu grave. Allora era sconosciuta, forse oggi sapremmo darle un nome. Ma lo portò alla morte ed io e mio fratello gemello fummo creati per costudire le sue ceneri in una cripta del castello di sogno che lui aveva trasformato in realtà. Nostro padre ci fece tristi, e non poteva essere diversamente per il compito che ci era stato assegnato.

Un giorno, mentre noi mesti, vigilavamo sulle spoglie del “grande sognatore” un signora anziana e bruttina di nero vestita ci spruzzò di strane sostanze e ci affumicò . Noi eravamo lì, per l’eternità a salvaguardare il sonno del nostro padrone, il marchese.

Ma io una notte di anni fa mi svegliai dal torpore. Mi stavano scalpellando e trapanando, mi levavano a forza dal mio basamento. Non potevo far nulla, feci un inchino al Marchese, salutai mio fratello gemello. Ero un leone triste, più triste del solito. Mi stavano portando via dal mio mondo, dal mio compito, dai miei colori di favola.

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Ma mi sentivo potente, anche se nulla potevo opporre a quella gente che mi stava trascinando altrove. La signora in nero mi aveva dotato di poteri che neppure sapevo controllare.

Coloro che mi sradicarono dal mio basamento che era la mia culla e il mio desco, morirono come il Marchese, il mercante umbro che mi trattò per la vendita, ebbe la stessa sorte. Poi arrivai ai piedi delle Alpi e la signora lombarda che volle possedermi ebbe la stessa sorte. Tutti in punto di morte dettero la colpa a me, al “leone triste” , ma io non avevo fatto nulla scientemente. Tutto quello che proveniva da me non era odio, ma solo tristezza, ed io non potevo dirigere questo sentimento, viaggiava per conto suo.

Ora sono al buio e all’umidità, sento odore di muffa. Ho voglia di riunirmi a mio fratello e continuare il compito di guardiano delle ceneri del Marchese per cui nostro babbo scalpellino ci creò.

Ora più che mai voglio tornare là, lo stesso Castello ne ha bisogno. Il Castello stesso ha bisogno di essere salvato. C’ero una volta, per molto tempo non c’ero, ma sento che ci sarò ancora.”


Ecco come Mario Rigli ha motivato l’ispirazione per questa novella:

“Sono in pena per la sorte di un Castello bellissimo, più bello di quello delle favole, meraviglioso. Che ha il sapore d’oriente ed è a due passi da casa mia. Forse la sua sorte è segnata, forse il suo futuro sarà un resort di lusso per pochi eletti ed è veramente un patrimonio per l’umanità. Ho firmato, ho condiviso, mi sono battuto per lui e la sua sorte.
Non so più che altro fare.
E allora ho scritto una novella, una fiaba.
E’ per te Castello di Sammezzano.”

 

AUTORE DELL’ARTICOLO: NUNZIA PANDOLI

 

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