Un gioiello d’altri tempi

by savesammezzano

È proprio così… un gioiello d’altri tempi nel cuore della Toscana: il Castello di Sammezzano.

Qualche mese fa durante il TG1 delle 13.30 un servizio catturava la mia attenzione,parlava di un certo Castello di Sammezzano che si trova a Leccio, frazione di Reggello, sulle colline a sud di Firenze. Immediatamente sono stata colpita dalle splendide immagini delle sale ricche di decorazioni e dai bellissimi giochi di luce e di colori, ma anche, e soprattutto, dal vero motivo del servizio che andava in onda e cioè che questo gioiello di straordinaria bellezza rischia di andare in rovina a causa dell’abbandono: infatti alcuni soffitti stanno crollando inesorabilmente.
Me ne sono subito innamorata e da quel momento ho deciso di saperne di più. Così su Internet ho iniziato a fare le mie ricerche e tutto ciò mi ha poi portata a diventare una sostenitrice del Comitato Save Sammezzano.
Il Castello è stato riprogettato tra il 1843 e il 1889 dal Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes, rampollo di una delle famiglie fiorentine più importanti dell’epoca. Nato a Firenze da Leopoldo Panciatichi e Margherita Rosselmini, di famiglia pisana, pur senza laurea, egli fu architetto, ingegnere, botanico, bibliofilo, imprenditore, politico, scienziato. Amante dell’arte, partendo da quella antica arrivò ad innamorarsi dell’arte orientale, pur non essendo mai stato in Oriente.

Ma la storia ci porta ancora più indietro

L’edificio originario era in realtà un grande fortilizio.

Si racconta che nel 780 vi soggiornò Carlo Magno, di ritorno da Roma, dopo aver fatto battezzare il figlio dal Papa.

Venuto in possesso della famiglia Ximenes d’Aragona con Ferdinando, che lo comprò dal granduca Ferdinando I de’ Medici, venne trasformato in una grande fattoria.

Ai primi dell’Ottocento, venne ereditata dal marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d’Aragona che lo ristrutturò completamente come villa-castello in stile moresco. In circa 40 anni (tra il 1843 e il 1886) il Marchese fece realizzare il Parco e il Castello di Sammezzano, il più importante esempio di architettura orientalista in Italia. In quel periodo era in uso la linea dell’Orientalismo, una corrente pittorica che nel corso dell’ottocento si sviluppò soprattutto in Francia e in Inghilterra.

I pittori pur non avendo mai viaggiato in Oriente riuscivano a ritrarre figure, ambienti, scene di vita del mondo arabo o mediorientale, ricchi di fascino e mistero con dipinti di scene erotiche orientali, ma di fantasia.

In Italia l’Orientalismo lasciò il segno nella politica, nell’economia, nell’arte. Ad esempio, Cesare Biseo, pittore e incisore romano, andò in Egitto e dipinse scene cariche di esotismo, affrescò il Teatro dell’Opera de Il Cairo e il Palazzo del Governo ad Alessandria che ancora oggi possiamo ammirare.

Furono diversi i personaggi artistici che, in questo periodo, crearono monumenti e opere di straordinaria bellezza. Gustave Eiffel, ad esempio, nel 1889 progettò e realizzò a Parigi una torre metallica alta 300 metri: La Tour Eiffel. Charles Garnier tra il 1862 e il 1875 realizzò, sempre a Parigi, il Teatro dell’Opera.

Nel 1863 il piemontese Alessandro Antonelli creò a Novara la cupola di San Gaudenzio e a Torino la Mole Antonelliana e, ancora, nel 1867 Giuseppe Mengoni realizzò a Milano la Galleria Vittorio Emanuele. A partire dal 1883 Antoni Gaudì progettò e realizzò, con una fantasia senza limite, la tutt’ora incompiuta Sagrada Familia a Barcellona.

Il primo ottocento fu segnato da varie correnti come il Romanticismo che rifiutava l’ideale della bellezza classica permettendo all’artista di esprimere i propri sentimenti, il Realismo che rappresentava gli aspetti del secolo come la dignità del lavoro, le ingiustizie sociali, mentre il secondo ottocento fu segnato dall’Impressionismo che rappresentava la realtà così come viene percepita dall’occhio umano, il Punitismo nato in Francia, permetteva agli artisti di applicare nelle loro opere le teorie scientifiche dell’epoca e il Post impressionismo che superava il materialismo dell’Impressionismo con colori e forme per comunicare stati d’animo.

Anche Sammezzano seguì le vicende artistiche dell’epoca: fu infatti pensato e realizzato dal marchese Panciatichi in stile moresco, traendo ispirazione dall’Alhambra di Granada, un complesso monumentale di architettura araba, dichiarato Patrimonio dell’Unesco, che sorge su “La Sabika”, un’altura che domina Granada in Spagna.

Tra le sue meravigliose stanze, collegate tra loro da un’infinità di percorsi labirintici, possiamo ritrovare disegni esotici ispirati al mondo arabo, indiano, cinese e all’Oriente in generale, ma rivisti dall’occhio fantasioso del suo creatore.

Ecco quelle più note: la Sala d’Ingresso, la Sala da Ballo detta anche Sala Bianca, la Sala dei Pavoni chiamata così perché le sue decorazioni e i suoi colori ricordano la coda di un pavone, la Sala dei Gigli, la Sala da Bagno, il Corridoio delle Stalattiti, chiamato così perché ricorda quelle che troviamo nelle grotte, collega le due sale a forma ottagonale, la Sala delle Farfalle, detta anche degli Specchi, e la Sala del Fumo dove, grazie a un complesso sistema di aereazione escogitato dal Marchese stesso, il fumo saliva verso il soffitto uscendo dalla sala senza diffondersi nel resto del Castello (una vera innovazione per l’epoca) e, infine, la Torre Centrale.

Lungo le pareti delle varie sale si possono notare molti simboli incisi e numerose scritte in latino, spagnolo e italiano, nonché pensieri che denotano lo stato d’animo del marchese Panciatichi deluso dagli avvenimenti che attraversava l’Italia in quel periodo. Ricordiamo che egli finanziò le guerre d’Indipendenza (1848-1866) che portarono all’unificazione d’Italia, divenne consigliere comunale a Firenze, membro del consiglio compartimentale e poi provinciale dal 1860 al 1864 e deputato del Regno nella IX e X legislatura dimettendosi poi nel 1867 deluso appunto anche dal suo stesso partito.

Il Marchese morì nel 1897 a Sammezzano, lasciando incompiuto il Castello che passò in eredità ai nipoti Ferdinando, Alessandro e Marianna Di San Giorgio, figli della figlia Marianna Ximenes-Paulucci.

Premesso che appena si potrà andrò a vedere di persona questo meraviglioso Castello, voglio esprimervi le mie considerazioni.

Credo prima di tutto che sia importante far rivivere questo gioiello dimenticato. Se io potessi, dopo averlo restaurato, lo farei conoscere al mondo, impegnando le sue sale per eventi importanti, ad esempio per organizzare convegni nazionali e internazionali, per consegnare premi importanti inerenti all’arte e alla cultura.

Creerei un museo d’arte permanente con mostre temporanee di dipinti, sculture, opere d’arte di diversi artisti, pittori e scultori famosi e perché no?

Utilizzerei alcune sale per cerimonie e ricevimenti, impegnando anche una parte del parco adiacente con gazebo e tavoli distribuiti qua e là circondati magari da splendidi roseti, il tutto gestito da un apposito catering.

Le 17 camere da letto le metterei a disposizione per ospiti illustri magari venuti apposta per convegni o altro.

Infine, per quanto riguarda il Parco, oltre ad abbellirlo con diverse fontane in tono ottocentesco o in linea con lo stile orientalista proprio del Castello, lo trasformerei in un grandissimo e bellissimo giardino, ripiantando quelle stesse specie che lo caratterizzavano ai tempi del Marchese, cercando di far rivivere lo splendido giardino che fu con le sue 140 piante rare e pensando a curare anche le sequoie originarie del Nord America, piantate dal Marchese e giunte sino a noi.

Aggiungerei anche tante varietà di fiori esotici e non; il tutto, naturalmente, da far ammirare al pubblico tramite visite guidate.

Ovviamente tutto ciò è solamente frutto di un mio progetto personale; Spero tanto che anche qualcun altro possa pensarla come me.

Mariachiara Carta


Questo articolo è stato scritto dalla nostra sostenitrice Mariachiara Carta

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